Bernardini

Una famiglia di sovversivi

1920

Bernardini

Intorno al 1920, Genzano di Roma. I due anziani seduti, rispettivamente, Luisa Paoloni (Miciò, ?-1941) e Giovanbattista Bernardini (?-1939). Gli altri, nove degli undici figli. Il primo in alto a sinistra: Timoteo (detto Angelino, 1901-1960). Altri fratelli: Camillo (1888-?), Giuseppe, Leonida (1898-?), Settimio.

Timoteo Bernardini, militare a Fiume, 192116 maggio 1924

Il Prefetto di Bari, con nota 10/5/1924 n. 792, dà informazioni sul conto di alcuni sovversivi, i cui nomi sono stati desunti nella corrispondenza criptografica sequestrata a Genova, presso la sede clandestina dell'Esecutivo Comunista. Fra questi figura il nome di Bernardini Timoteo, che fu inviato in congedo il 20 giugno 1922. Apparteneva al 9° Reggimento Genio e fu segnalato a suo tempo, come iscritto ai partiti sovversivi; ma durante il tempo trascorso alle armi, ha tenuto buona condotta dimostrandosi disciplinato e volenteroso. Vedi Cat. 2° - Maselli Martino di Vito sedicente Amalfi Ruggero - N. 11246.

17 giugno 1924

Bernardini Timoteo Giovanni Battista e di Paolini Luisa nato a Genzano il 24 gennaio 1901, contadino, abitante in Piazza Margherita N. 7.

In seguito a perquisizione eseguita in casa dell'anarchico di Velletri Patrizi Angelo, venne perquisita anche la casa di abitazione del Bernardini sequestrando quattro lettere della Federazione Giovanile Comunista d'Italia sezione di Genzano ed un cartoccio contenente gelatina esplosiva a filamenti e una miccia lunga circa 70 centimetri rivestita di una sostanza impermeabile. Arrestato, nella perquisizione venne anche sequestrata una bandiera rossa, e copie del giornale "La Rivendicazione" N. 24 del 24/5/1924. Vedi fascicolo Roma partito comunista K1 N.13445 del 1924. Informata la Div. Polizia per ciò che riflette il sequestro degli esplosivi.

16 agosto 1928

Prefettura di Roma

Bernardini Timoteo, soprannominato "Misciò", di Giov. Battista e di Paoloni Luisa, nato a Genzano di Roma il 24 gennaio 1901, ammogliato con Pontesilli Nazzarena. Ha due figlie ed è domiciliato a Genzano. Comunista.

Statura media Naso forma rettilineo Collo lunghezza lungo
Corporatura regolare dimensioni medio grossezza piccolo
Capelli colore castani Orecchio forma Spalle orizzontali
forma ondulati dimensioni grande Gambe lunghe
fortezza folti Baffi forma Mani callose
Viso colorito bruno foltezza rasi Piedi piccoli
forma ovale colore Andatura naturale
dimensioni piccolo Barba foltezza rasa Espressione fisionomica seria
Fronte forma rettilinea forma Abbigliamento abituale da operaio
sporgenza poca colore Spegni speciali (cicatrici, tatuaggi, deformità ecc.)
Sopraciglia forma curva Mandibola stretta
colore castane Mento  
Occhio forma ovali Rughe  
dimensione piccoli Bocca forma rettilinea  
colore castani dimensioni grande  

Riscuote nell'opinione pubblica fama piuttosto buona; ha carattere violento, discreta educazione, scarsa intelligenza e limitata coltura; ha frequentato la terza elementare; non ha titoli accademici; è assiduo lavoratore; trae i mezzi di vita dal lavoro; si associa a sovversivi e pregiudicati; non ha ricoperto cariche amministrative e politiche. E' iscritto al partito comunista, nelle cui file ha sempre militato; nel partito ha discreta influenza estesa anche fuori del luogo in cui risiede e specialmente nei castelli romani; non consta ch'egli sia stato in corrispondenza epistolare con compagni di fede residenti all'estero o nel Regno; non ha mai dimorato all'estero; non ha fatto parte di associazioni sovversive di mutuo soccorso o di altro genere; non ha mai collaborato alla redazione di giornali; riceve e spedisce stampe sovversive; ha sempre svolto attiva propaganda, con discreto profitto, tra i contadini dei castelli; è capace di tenere conferenze e ne ha tenute nascostamente nel 1925; verso le autorità tiene contegno sprezzante; ha preso parte a tutte le manifestazioni sovversive dell'epoca rossa. Nel 1924 fu arrestato, perché trovato in possesso di una grande bandiera rossa da esporre per l'anniversario della morte di Lenin e di un mazzetto di gelatine. Il 9/7/1917 fu assolto dal Pretore di Genzano per insufficienza di prove per lesioni personali volontarie. Il 5/6/1924 fu arrestato per incitamento all'odio di classe, istigazione a delinquere ed altri reati di minore importanza; con ordinanza del Giudice Istruttore di Velletri, in data 27/8/1925, fu dichiarato non doversi procedere per amnistia. Non è stato mai sottoposto all'ammonizione.

Con ordinanza di questa Commissione Provinciale in data 3/12/1926 fu assegnato al confino di polizia per la durata di anni cinque, perché elemento pericoloso per l'ordine nazionale dello Stato. Il 5/12/1926 fu arrestato e tradotto a Favignana. La Commissione di Appello con deliberazione del gennaio 1927 ridusse il periodo di confino ad anni tre. Il 4/4/1927, il Bernardini fu trasferito nella colonia di Ustica; ultimamente è stato trasferito nella colonia di Ponza.

Timoteo Bernardini, 1928

16 agosto 1928

Bernardini Camillo, soprannominato Misciò, di Giovan Battista e di Paoloni Luisa, nato a Genzano (Roma) il 26/2/1888, ammogliato con Baldazzi Giuseppa, calzolaio. Ha sei figli; è domiciliato a Genzano. Comunista.

Statura bassa Naso forma rett.base orizz. Collo lunghezza corto
Corporatura media dimensioni grosso grossezza piccolo
Capelli colore brizzolati Orecchio forma elissoidale lobo a golfo Spalle orizzontali
forma lisci dimensioni grosso Gambe lunghe
fortezza calv.fr.pariet. Baffi forma americana Mani tozze callose
Viso colorito olivastro foltezza poca Piedi piccoli
forma quadrangolare colore brizzolati Andatura dondolante
dimensioni piccolo Barba foltezza Espressione fisionomica sorridente
Fronte forma larga forma rasa Abbigliamento abituale da operaio
sporgenza poca colore Spegni speciali (cicatrici, tatuaggi, deformità ecc.)
Sopraciglia forma spesse folt.rett. Mandibola stretta
colore brizzolate Mento concavo
Occhio forma infoss.palp.sup.cop. Rughe frontali rettilin.  
dimensione piccoli Bocca forma rettilinea  
colore castani dimensioni grande  

Riscuote nell'opinione pubblica cattiva fama; di carattere violento, scarsa educazione, poca intelligenza e limitatissima coltura; ha frequentato le scuole elementari; non ha titoli accademici; è fiacco lavoratore; trae i mezzi di vita dal lavoro; si associa con sovversivi; si comporta bene verso la famiglia; non ha ricoperto cariche amministrative o politiche. E' iscritto al partito comunista; precedentemente ha militato in quello socialista; non ha nel partito comunista alcuna influenza; non è stato mai in corrispondenza epistolare con compagni di fede residenti nel Regno od all'Estero; non è mai stato all'Estero; non ha fatto parte di associazioni sovversive di mutuo soccorso; non ha collaborato alla redazione di giornali; non ha mai ricevuto o spedito stampe sovversive; ha svolto sempre propaganda, ma con scarso profitto, tra i giovani lavoratori; non è capace di tenere conferenze; verso le autorità tiene contegno sprezzante. Ha preso parte a tutte le manifestazioni sovversive svoltesi in Genzano durante l'era rossa. La sera del 1° gennaio 1925, prese parte al complotto armato tra forza pubblica e sovversivi avvenuto in Genzano.

Dal Tribunale di Roma fu condannato, il 14/12/1905, a mesi quattro di detenzione per lesioni. Dal Tribunale Militare di Roma fu condannato, il 10/7/1917, ad anni cinque di reclusione militare per duplice diserzione (amnistiato).

Il 1°/1/1925 fu arrestato per aver preso parte al conflitto armato di cui sopra. Il 18/8/1925, fu dalla Sezione di Accusa di Roma prosciolto per amnistia dall'imputazione di mancato omicidio. Non è mai stato sottoposto all'ammonizione.

Con ordinanza di questa Commissione Provinciale in data 21/5/1928 fu assegnato al confino di polizia per la durata di anni cinque, perché elemento pericoloso per l'ordina Nazionale e lo Stato, e destinato a Lipari.

Camillo Bernardini,1928

5 maggio 1929

Regia Prefettura di Roma

Bernardini Camillo, soprannominato Misciò, di G. Battista nato a Genzano il 26/2/1888 comunista. Terminato di espiare anni uno di confino nella colonia di Lipari, il 5/5/1929 ha ripreso domicilio nel comune di Genzano, ove viene vigilato.

6 dicembre 1929

Regia Prefettura di Roma

Bernardini Timoteo di Giovanni e di Paoloni Luisa nato a Genzano il 24/1/1901 comunista. Ultimato il periodo di assegnazione al confino di polizia 4 dicembre 1929 è stato, a cura della Questura di Napoli, qui accompagnato.

Ha stabilito propria dimora nel comune di Genzano di Roma ove viene vigilato.

10 dicembre 1929

Alto Commissariato per la città e la provincia di Napoli

Bernardini Timoteo di Giovanni Battista. Ultimato il periodo di assegnazione al confino il 5 corrente è stato accompagnato a Roma.

21 febbraio 1930

Regia Prefettura di Roma

Bernardini Camillo fu Giovanni Battista comunista. Si mantiene tuttora fedele ai suoi principi per cui è da ritenersi pericoloso in linea politica. E' vigilato.

Allo scopo di impedirgli eventuali tentativi di espatrio sono state diramate opportune circolari alle RR. Questure del Regno e per lo stesso motivo è stato segnalato il suo nome per iscrizione nella rubrica di frontiera.

8 gennaio 1932

Regia Questura di Roma

Bernardini Camillo di Giovanni Battista comunista. Serba tuttora fede ai suoi principi ma non dà luogo a speciali rilievi con la condotta politica. E' vigilato.

16 ottobre 1933

Regia Questura di Roma

Bernardini Timoteo di G. Battista, da Genzano, residente a Roma, comunista schedato. Dalla data dell'ultimo cenno di variazione non ha dato luogo a speciali rilievi con la condotta politica. Abita in Via Leonardo da Vinci n. 43 e viene vigilato.

11 febbraio 1936

Regia Questura di Roma

Bernardini Timoteo di G. Battista, comunista schedato. Non consta dia luogo a rilievi con il comportamento politico. Tuttavia viene vigilato.

18 gennaio 1936

Regia Questura di Roma

Bernardini Camillo fu G. Battista, comunista schedato. Continua a serbare le proprie idee e frequenta compagni della medesima fede senza però fare propaganda contraria al Regime. E' vigilato.

28 aprile 1938

Il 22 marzo u.s. fu riferito al Commissariato di P.S. di Genzano che il 26 febbraio c.a. tre individui, identificati per:

  1. Silvestrini Sebastiano detto Angelo di Tommaso e di Valle Clementina, nato a Genzano di Roma l'8/9/1903, abitante in via Padova 19, facchino, coniugato, diviso dalla moglie, pregiudicato;

  2. Bernardini Leonida Alfredo di Giov.Battista e di Paoloni Luisa, nato a Genzano di Roma 8/4/1898, abitante in Piazza Umberto n°20, detto "Micione" coniugato, contadino, pregiudicato;

  3. Bocale Ettore fu Angelo e di Cardinali Candida, nato a Genzano di Roma 28/4/1890, abitante in Via G.Mameli 73, celibe, operaio disoccupato;

si presentarono nell'esercizio pubblico di Emery Maria, sito in quella Piazza Annunziata, attualmente non in funzione non essendo stato ancora nominato il rappresentante, ed affidato, per la custodia, a tale Gay Nicola fu Cesare e fu Vittori Maria, nato a Nepi il 21 aprile 1886, domiciliato a Genzano da vari anni, e, dopo aver mangiato e bevuto, chiesero di voler captare, con la radio del Gay, la stazione trasmittente di Mosca. Al diniego di costui, i suddetti esclamarono: "Ci sarebbe piaciuto sentire cosa dicono a Mosca del cannibale di piazza Venezia".

Invitati a chiarire, soggiunsero: "Non lo sapete? E' S.E. Mussolini, così lo chiamano a Mosca".

Quanto sopra è stato confermato dal citato Gay Nicola e da tale Moroni Umberto di Antonio e di Nicoletti Settimia, nato a Genzano il 26/1/1916, abitante Via Padova n°19, presente in quella occasione nell'esercizio.

Dalle indagini esperite e dalle dichiarazioni assunte è risultato che il Bernardini Leonida Alfredo chiese la captazione della stazione trasmittente di Mosca e il Silvestrini pronunziò la frase: "Ci sarebbe piaciuto sentire ecc.". Non è stato possibile precisare chi dette i chiarimenti sulla frase pronunziata dal Silvestrini, giacché a dire del Gay sarebbe stato il Bocale, a dire del Moroni sarebbe stato invece il Silvestrini.

I tre, interrogati, hanno negato gli addebiti mossi loro singolarmente: che il fatto sia avvenuto è confermato, oltre che dalle concordi dichiarazioni del Gay e del Moroni, anche dal Silvestrini che ha accusato il Bernardini di aver rivolta al Gay la richiesta di sentire la trasmissione da Mosca.

Il Gay ha dichiarato di non aver riferito i fatti prima del 22 marzo perché ammalato.

La perquisizione domiciliare e personale nei confronti dei tre prodotti ha dato esito negativo.

In linea politica essi non hanno precedenti, non sono però iscritti al P.N.F. e il Silvestrini ed il Bernardini appartengono a famiglia di sovversivi: difatti due fratelli del primo sono comunisti non schedati, quattro fratelli del secondo sono pure comunisti, e di essi due schedati.

In linea penale, il Silvestrini è pregiudicato per furto, il Bernardini per violenza e lesioni, per ubriachezza, per porto abusivo di rivoltella, il Bocale per disturbo alla quiete pubblica.

Il Bernardini è stato denunziato alla locale Commissione Provinciale, la quale nella seduta del 26/4/1938 lo ha assegnato al confino di polizia, per la durata di anni tre.

Leonida Bernardini, 1938

10 maggio 1938

Regia Questura di Roma

...Al Bernardini Leonida di G. Battista, che fu tratto in arresto il 22/3/1938 e ristretto nelle locali Carceri di Regina Coeli, è stata notificata il giorno 28/4 u.s. la predetta ordinanza, come rilevasi dagli uniti verbali.

Trasmetto anche il certificato sanitario del Bernardini, dal quale risulta che per le sue condizioni di salute, è ritenuto idoneo a sopportare il regime del confino, e significo che trattandosi di elemento comunista e pericoloso, sarebbe opportuno inviarlo in una colonia.

Il Bernardini risulta ex combattente; non ha benemerenze di sorta, è coniugato, ma vive separato dalla moglie e non ha beni di fortuna, per cui non è in grado di mantenersi con mezzi propri al luogo di confino, né ha parenti tenuti per legge al suo mantenimento.

Il Questore

9 giugno 1938

Ministero dell'Interno

Si informa che la Commissione Provinciale di Roma con ordinanza in data 26/4/1938 ha assegnato al confino per la durata di anni 3 a Ponza il nominato Bernardini Leonida Alfredo di Giov. Battista.

Il Capo della Sezione Prima

29 luglio 1938

Regia Questura di Roma

Bernardini Camillo di G. Battista, comunista. Ha preso parte ai funerali del sovversivo Bardetti Raffaele svoltisi a Genzano il 19/6 u.s.

Timoteo Bernardini, militare a Bengasi, 193927 giugno 1939

Regia Questura di Roma

Bernardini Timodeo di G. Battista, comunista. Richiamato alle armi è stato assegnato al 21° Gruppo Automobilistico di Stanza a Bengasi. Viene vigilato dall'Autorità competente.

29 giugno 1939

Regia Questura di Roma

Bernardini Timoteo di G. Battista, comunista. A seguito della mia segnalazione p.n. del 27 andante comunico che il suindicato, richiamato alle armi, ha fatto ritorno nella Capitale perché inviato in licenza di gg. 30 prorogabile. Riattivata vigilanza.

11 luglio 1939

Dagli accertamenti eseguiti è risultato che Bernardini Timoteo di Giov. Battista e di Paoloni Luisa, nato a Genzano il 24 gennaio 1901, abitante in via Corfinio 9, è comunista schedato, ex confinato politico.

Il predetto il 5 giugno 1924 venne arrestato perché nella sua abitazione nel corso di una perquisizione furono rinvenuti una grande bandiera rossa con nastro nero portante la scritta "Circolo giovanile comunista J. F. Carlo Liebknehet", un mazzetto di gelatina esplosiva avvolta in un giornale, una miccia e parecchi opuscoli sovversivi. Per tanto venne denunciato all'Autorità Giudiziaria per incitamento all'odio di classe, istigazione a delinquere e ad altri reati minori, ma con ordinanza del G. I. di Velletri in data 27 agosto 1925 fu dichiarato non luogo a procedere per amnistia. Con ordinanza della Commissione Provinciale per il Confino del 3 marzo 1926 il Bernardini venne assegnato per la durata di anni cinque al Confino, perché ritenuto pericoloso per l'ordine pubblico e per l'ordinamento dello Stato Il 5 dicembre 1926 stesso venne arrestato e tradotto a Favignana per l'espiazione di detto provvedimento di Polizia. Con ordinanza della Commissione di Appello tale misura veniva ridotta ad anni tre. Successivamente è stato alla Colonia di Ustica, poi a quella di Ponza, da dove per fine pena rimpatriava a Roma in data 16 dicembre 1929. Nel marzo 1936 venne querelato da Bertini Giovanni per diffamazione, ma ignorasi l'esito del procedimento penale. Nel 1937, a titolo di esperimento gli venne rilasciata la patente a condurre autoveicoli. E' munito della Carta d'Identità per l'articolo 3 della Legge di P. S.

Il Bernardini Timoteo per il passato è stato un attivo propagandista delle sue idee comuniste che svolgeva con buon profitto in seno alle organizzazioni dei contadini dei Castelli Romani. E' ritenuto di carattere violento e poco riguardoso verso le Autorità.

In Roma gestiva, per conto del fratello Giuseppe, fascista del 1923, la trattoria di via Sannio 11, gestione che ha dovuto lasciare a causa del richiamo alle armi avvenuta nell'aprile u.s. e il giorno 8 stesso venne destinato al 21° Gruppo Automobilistico a Bengasi. Il 18 giugno corr. anno è tornato a Roma in licenza agricola, prorogabile, riprendendo alloggio in via Corfinio 9. Costui è sempre riservatamente vigilato e fu anche segnalato alle Autorità Militari.

Il predetto comunista è ammogliato con prole.

Costui in data 14 febbraio u.s., ebbe ad inviare alla locale Regia Questura una domanda chiedendo di essere cancellato dal novero dei sovversivi, dichiarandosi completamente ravveduto e pentito del suo passato politico. La domanda, però, non venne accolta, perché tra l'altro anche notizie fiduciarie confermavano che il Bernardini continuava nelle sue vecchie idee, pur tenendosi in disparte dai compagni di fede per ragioni opportunistiche. Si prevede, perciò, che l'udienza chiesta a S. E. il Capo della Polizia verta su questo punto.

Il Maresciallo di P. S.

21 marzo 1940

Regia Questura di Roma

Bernardini Timoteo fu G. Battista, comunista. Continua a professare principi comunisti. Viene vigilato.

29 novembre 1941

L'Ufficio di P.S. di Genzano di Roma l'8 corrente procedeva all'arresto del comunista Bernardini Leonida di G. Battista e fu Paoloni Luisa, nato a Genzano l'8/4/1898, ivi domiciliato, contadino perché in seguito a diverbio avuto con la propria amante Premutico Elettra, alla presenza della di lei figlia adottiva Novepi Silvana e della nipote Antonelli Iolanda, pronunciava le seguenti frasi contro il Regime: "Che comandate sempre voialtre, verrà il tempo che comanderemo pure noi, se cambierà vento mi farrò una mangiata di uomini e di donne, attualmente fate come vi piace perché avete il Governo che appoggia; non si può dare uno schiaffo che subito vi mettono dentro". Tale accusa è stata per prima fatta a questo Ufficio dalla cognata della Premutico a nome Angelina Vittoria e poscia confermata dalla Premutico e dalle minori Nivepi e Antonelli.

Il Bernardini, che da circa quattro mesi conviveva maritalmente con la Premutico, per il suo carattere geloso non è mai andato d'accordo con costei, la quale si è spesso rivolta a quest'Ufficio per indurre il Bernardini ad andarsene dalla sua casa e lasciarle in pace.

Il Bernardini, interrogato, ha naturalmente negato ogni addebito, dichiarando che le suddette lo hanno ingiustamente accusato allo scopo di farlo arrestare per liberarsi di lui.

Egli, come è noto, nel marzo 1938 venne arrestato insieme ai noti sovversivi Silvestrini Sebastiano e Bocale Ettore per avere nel febbraio di detto anno nell'esercizio di tale Gai Nicola, profferito le seguenti parole "Ci sarebbe piaciuto sentire cosa dicono a Mosca del cannibale di Piazza Venezia", specificando poi le parole: "Non lo sapete? E' sua Eccellenza Mussolini, così lo chiamano a Mosca".

Venne perciò assegnato al confino per la durata di anni tre e nel gennaio 1940 ottenne dal Duce la commutazione del confino in ammonizione.

Premesso quanto sopra, pur tenendo conto che la Premutico Elettra ed i propri congiunti abbiano potuto esagerare nell'accusare il Bernardini, i quali erano difatti in dissidio e in considerazione che questo ultimo è elemento notoriamente di idee antifasciste e per conseguenza capace di profferire le frasi addebitategli è stato denunziato alla locale Commissione Provinciale la quale nella seduta del 26 corrente lo ha sottoposto ai vincoli dell'ammonizione.

27 marzo 1942

Regia Questura di Roma

Bernardini Timoteo di Giov. Battista, comunista. Durante il 1° trimestre del c.a. non ha dato luogo a speciali rilievi con la condotta politica. Viene vigilato.

26 giugno 1942

La sera del 6 andante la Giovane Fascista Corese Fanni di Lucio, di anni 18, da Genzano, riferiva al Commissario del Fascio locale, che il giorno precedente erasi recata con la propria cugina Novepi Silvana, di anni 17, nella bottega del calzolaio Bernardini Camillo fu Giovanni Battista e fu Paoloni Luisa, nato a Genzano di Roma il 26/2/1888, ivi abitante al Corso Vittorio n. 33, pregiudicato comune e comunista schedato per sollecitare la riparazione di un paio di scarpe che da tempo gli aveva consegnate la Novepi, al che il Bernardini, con tono eccitato, aveva risposto che non aveva suola. Aggiungeva che, avendo la cugina chiesto al calzolaio predetto il motivo della sua eccitazione, costui si limitava a rispondere che aveva fame, uscendo poi nella seguente frase, allorché la Corese gli aveva fatto rilevare che al momento attuale bisognava pure fare dei sacrifici per la Patria, "Voi siete figlie di fascisti ed i vostri padri gridano in piazza che vogliono la guerra; state attente perché se vinciamo noi ve la passerete male".

La Corese interrogata nell'ufficio di P. S. Genzano, confermava quanto aveva già riferito in precedenza al Commissario del Fascio nei riguardi del Bernardini. Analoga dichiarazione faceva la propria cugina Novepi Silvana.

Il Bernardini, noto pregiudicato e comunista schedato, fermato ed interrogato in merito ai fatti attribuitigli, assuleva che al momento che le due suddette giovani si recarono nella sua bottega egli era piuttosto brillo per aver bevuto più del solito e, pur riferendo in modo preciso sulle circostanze e sul motivo della discussione avuta, con le medesime, dichiarava di non ricordare se avesse o meno pronunziata la frase addebitatagli, sopra citata.

Il Bernardini, che fu assegnato al confino di polizia nell'anno 1938, per la durata di cinque anni, pur non svolgendo palesemente attività contraria al regime, con le parole pronunziate nella sua bottega la sera del 5 andante, ha dato prova manifesta di nutrire integre le sue idee di avversione al P. N. F., auspicando il risorgere dei debellati partiti estremisti.

Egli è stato denunziato alla locale Commissione Provinciale, la quale nella seduta del 13 corrente, lo ha assegnato al confino di polizia, per la durata di anni due.

Camillo Bernardini, 1942

27 giugno 1942

Regia Questura di Roma

...Al Bernardini Camillo di Giov. Battista, confinato politico, che fu tratto in arresto il 7/5/1942 e ristretto nelle locali Carceri di Regina Coeli, è stata notificata il giorno 13 andante la predetta ordinanza, come rilevasi dagli uniti verbali.

Si trasmette anche il certificato sanitario del Bernardini dal quale risulta che, per le sue condizioni di salute, è ritenuto idoneo a sopportare il regime del confino, significando che, trattandosi di elemento operaio, sarebbe opportuno inviarlo in una colonia agricola.

Il Bernardini, pur essendo ex combattente, fu però condannato per diserzione; è coniugato ed ha quattro figli, maggiorenni, non ha beni di fortuna, per cui non è in grado di mantenersi con mezzi propri al luogo di confino.

Il Questore

13 luglio 1942

Regia Questura di Roma

Bernardini Camillo fu G. Battista, comunista schedato. Il 7 maggio c.a. è stato arrestato dagli agenti dell'Ufficio di P. S. di Genzano di Roma, per aver pronunziato frasi contro la guerra denotanti sentimenti antifascisti.

Per tali motivi con ordinanza della locale Commissione Provinciale in data 13 giugno u.s. è stato assegnato al confino di polizia per la durata di anni due.

Con deliberazione ministeriale è stato assegnato alla Colonia agricola di Pisticci e pertanto in data 2 corrente è stata richiesta la di lui traduzione colà.

28 agosto 1943

Regia Questura di Roma

Bernardini Camillo fu Giovanni Battista, comunista schedato, ex confinato politico. Per disposizione ministeriale è stato liberato dal confino di polizia ed ha fatto ritorno in Genzano di Roma. Disposta vigilanza.

Tessera PCI Timoteo Bernardini, 1943

1945

Tessera PCI di Ezio Bernardini (1926-1999), figlio di Timoteo, 1945

23 gennaio 1948

Io sottoscritto Manzini Luciano fu Renato abitante in Roma via Urbana 133, direttore della rivista "Pagine nuove", dichiaro che il 22 aprile 1944 fui arrestato dalla banda Koch e trasportato nella pensione Iaccarino di via Romagna.

Dopo l'interrogatorio, fui portato nel locale sotterraneo denominato "buco" ove rilevarono per malmenarlo ancora un mio compagno di cospirazione: Bernardini Timoteo fu G.B.

Egli aveva la testa e il viso talmente tumefatti e gonfiati dalle percosse, che durai fatica a riconoscerlo.

Nel "buco" rimase un altro compagno: Signorelli Augusto abitante in Roma via S.Remo 1.

Assieme a Signorelli, da uno spiraglio della porta, vedemmo poi trasportare a braccia il Bernardini da alcuni persecutori, i quali biasimavano il fatto che il Bernardini avesse tentato di uccidersi, durante un intervallo di tempo in cui era rimasto solo.

Poi tutto ripiombò nel silenzio e nel buio più acuto, e soltanto dopo la liberazione di Roma seppi che il Bernardini era stato trasportato all'ospedale ed era riuscito a salvarsi; nel mentre io sino allora avevo creduto ch'egli avesse soggiaciuto alle percosse e al tentativo di suicidio.

Timoteo Bernardini con la moglie Nazzarena Pontesilli (1902-1989), anni '50

A Roma, in via Romagna, sulla bianca e nuda facciata di un elegante edificio moderno, c’è una lapide incastonata tra i blocchi di travertino che la ricoprono. C’è scritto:

«Requisita dalla banda fascista del ten. Pietro Koch,
LA PENSIONE JACCARINO
ubicata in un villino che qui sorgeva, divenne luogo di detenzione e torture per molti patrioti che lottavano per la libertà dal nazifascismo. Molti ne uscirono soltanto per essere avviati al plotone di esecuzione.
Per non dimenticare.
Roma occupata, Settembre 1943 – Giugno 1944».

Uno di quei patrioti era mio padre, Angelino (Timoteo) Bernardini.

Non dimenticherò mai quel terribile inverno del 1943. Ancora oggi, quando qualche emittente televisiva trasmette «Roma città aperta» di Roberto Rossellini, faccio fatica a resistere davanti allo schermo per tutta la durata del film. Non c’è praticamente episodio che non mi ricordi qualcosa di analogo della storia della nostra famiglia. Per esempio, quando nel film i tedeschi bloccano i due accessi di una strada e requisiscono tutti gli uomini validi che in quel momento, magari per caso, si trovano a passare di lì. Poi i nazisti passano a perquisire tutte le case che si affacciano sulla strada, arrestano tutti gli abitanti maschi e li ammassano nei camion insieme con quelli già arrestati per strada. Il loro destino è la Germania. Per fortuna, si fa per dire, non verranno avviati ai campi di sterminio ma alle fabbriche tedesche, che hanno bisogno di mano d’opera. Ebbene, fu così che mio cugino Pietro, quindicenne, si ritrovò in uno di quei camion. Lungo il viaggio verso il nord, a una ventina di chilometri da Roma, i caccia americani presero a mitragliare l’autocolonna tedesca e nel parapiglia molti di coloro che erano a bordo riuscirono a fuggire. Pietro tornò a casa a piedi, più morto che vivo.

Avevo undici anni quando, una notte di dicembre del 1943, gli aguzzini della banda Koch vennero in casa nostra e portarono via mia madre e mio fratello Ezio, diciassettenne. Mio padre era già stato arrestato per strada. Rimanemmo soli, io e mia sorella Silvana, 15 anni. Per fortuna in quel periodo era ospite in casa nostra la famiglia di una sorella di mia madre, zia Cleofe, sfollata da Genzano.

Nella allora famigerata pensione Jaccarino mio padre, mia madre e mio fratello vennero picchiati e torturati per giorni, ciascuno davanti agli altri. Lo scopo era quello di farli parlare, di costringerli a rivelare i nascondigli della resistenza romana, che in realtà soltanto mio padre conosceva. Dopo qualche giorno, mi pare di ricordare che mio fratello venne trasferito a Regina Cœli (ma non ne sono sicuro, perché per tutti gli anni trascorsi dopo la liberazione di Roma noi tutti, in famiglia, abbiamo sempre evitato di rievocare quei giorni, quasi a volerli rimuovere), mentre mia madre fu trasferita nella prigione femminile delle Mantellate. Mio fratello conservò per il resto della vita una traccia visibile di quei giorni: un dente spezzato da un calcio.

Intanto mio padre continuò ad essere torturato. Quando perdeva i sensi, lo buttavano in cantina, in un ripostiglio dove non era possibile stare distesi. Dopo qualche ora, lo riportavano di sopra e ricominciavano le torture. Finito l’ennesimo interrogatorio, riprese i sensi nel suo bugigattolo ed ebbe paura di non poter resistere ancora a lungo senza rivelare i nomi dei suoi compagni. Scorse in terra un bicchiere di latta, riuscì a spezzarne il bordo e con quello si tagliò le vene dei polsi e degli stinchi. Quando i suoi torturatori scesero di nuovo, lo trovarono in un lago di sangue e privo di sensi. Era in coma. Lo trasportarono all’ospedale e lì la prognosi fu che difficilmente sarebbe sopravvissuto. Venne comunque ricoverato in corsia. Gli uomini della banda Koch se ne andarono e non lasciarono nemmeno un piantone di sorveglianza, date le sue condizioni.

Quando uscì dal coma, scoprì di trovarsi in una normale corsia del Policlinico Umberto I. Era l’ora della visita dei parenti. Chiese a un visitatore del suo vicino di letto la cortesia di venire a casa nostra ed eventualmente di informarci. Ma non era sicuro che ci fosse ancora qualcuno in casa. Ormai in corsia tutti sapevano come quel paziente fosse finito lì. Quella sera stessa venne da noi un giovane che, con qualche imbarazzo e anche con il timore che la polizia lo avesse seguito, ci disse che nell’ospedale c’era qualcuno, forse un nostro parente, che avrebbe voluto vederci.

Il giorno dopo, all’ora della visita, io e mia sorella andammo all’ospedale. Mio padre stava dormendo. Da qualche giorno non veniva più picchiato e torturato, ma il suo corpo era tutto ricoperto di ecchimosi. Nelle orecchie c’era del sangue secco. Non c’era un centimetro della sua pelle che non fosse nero di lividi. Mi sentii male, provai uno strano senso di nausea, ma feci uno sforzo per non farlo capire e mi allontanai dal letto. Andai a una finestra a respirare.

Ancora qualche giorno e, mi pare, mia madre uscì di prigione. Si ricordò che un suo cugino, monsignor Caraffa, insegnava alla Pontificia Università Lateranense, vicino a casa nostra. Molti anni dopo, quando lo conobbi perché si rivolse a me per una sua ricerca bibliografica, seppi che era il prorettore di quella università. Allora mia madre andò a chiedergli se poteva far accogliere mio padre nel complesso della basilica di S. Giovanni in Laterano, che godeva dell’extraterritorialità. Non c’era posto, perché ormai tutti i vari pezzi di Roma che tuttora compongono la Città del Vaticano erano pieni di rifugiati, ebrei, resistenti, cattolici e non. Tuttavia un posto si trovò.

Così, nell’ora della visita, mio padre scese in pigiama nel cortile dell’ospedale e, confuso tra la folla di pazienti e visitatori, uscì dal Policlinico e salì su un camion che l’attendeva. Durante l’occupazione tedesca tutti gli accessi al territorio vaticano erano vigilati, da un lato dalle guardie vaticane, dall’altro dalle sentinelle tedesche. Ricordo che anche il colonnato del Bernini era chiuso da una sorta di staccionata di legno con un piccolo varco al centro, attraverso il quale la gente entrava e usciva liberamente, ma sotto lo sguardo delle guardie svizzere e dei militari tedeschi. Analoga era la situazione delle basiliche extraterritoriali di San Giovanni, San Paolo e Santa Maria Maggiore. Sul retro della basilica di San Giovanni, vicino al Battistero, c’è una cancellata che adesso è sempre aperta, ma che allora lasciava aperto soltanto un varco.

Il camion entrò senza impedimenti in territorio vaticano, come se dovesse fare un trasporto per la chiesa. Mio padre venne sistemato in un piccolo e stretto corridoio dove c’erano due lettini addossati al muro sullo stesso lato. Il suo compagno di corridoio era un ebreo, Sergio Limentani. Tra i letti e la parete opposta c’erano soltanto pochi centimetri, appena sufficienti per passare mettendosi di fianco. Così, durante tutto il giorno i due occupanti stavano in cortile, all’aperto. Per fortuna non ricordo che in quei mesi piovesse. Io andavo tutti i giorni a portare da mangiare a mio padre, passando sotto lo sguardo indifferente delle sentinelle tedesche, che naturalmente sapevano tutto, ma non mi dissero mai nulla.

Mio padre uscì da San Giovanni il 4 giugno 1944, quando i primi carri armati americani entrarono a Roma e si fermarono sul Piazzale Appio, davanti alle mura aureliane e in vista della basilica.

Dopo la fine della guerra mio padre, con due condanne del Tribunale Speciale fascista, ex confinato, eroe della Resistenza, venne eletto segretario della sezione PCI del quartiere Latino-Metronio. Aveva conosciuto Gramsci ed era stato «allievo» di Terracini: al confino aveva frequentato i corsi di storia, filosofia, francese, matematica e italiano che gli intellettuali confinati tenevano per i loro compagni che non avevano studiato, come mio padre. L’Unione Sovietica era sempre stata il suo mito, il faro che gli aveva dato luce e forza per tirare avanti negli anni bui del fascismo. Così, nel 1959 (o 1958?) approfittò della mia presenza a Mosca per visitare finalmente la «patria del socialismo». Era estate, l’università Lomonosov era semivuota, le lezioni e gli esami erano finiti. Mi procurai una brandina supplementare e per una decina di giorni mio padre visse con me nella mia stanzetta (Zona G, quinto piano, stanza 503). La mattina io mi alzavo tardi, ma lui no, scendeva nel giardino della nostra zona G e con un coltellino raccoglieva la «cicorietta» (così la chiamava) che cresceva sui prati. Si meravigliava che nessuno facesse altrettanto, che quella buona insalata si sprecasse. Poi tornava in camera nostra, la lavava e la metteva da parte per la sera. Nel frattempo io mi ero lavato e vestito. A quel punto, sempre in compagnia di almeno altri due studenti italiani, tra i quali quasi sempre c’era il mio amico Gianni Parisi, si andava in centro a pranzare al ristorante georgiano Aragvi, dove immancabilmente ordinavamo il famoso pollo kabakà, che era poi il pollo alla diavola. La libagione era abbondante. Mio padre si faceva un dovere di pagare spesso il conto per tutti. Scendevamo giù per via Gor’kij tutti un po’ brilli, prendevamo l’autobus (la metropolitana non arrivava ancora a quelle che allora si chiamavano le Colline di Lenin) e tornavamo a casa, cioè all’università. La sera cenavamo nella nostra stanza a base di carne in padella con contorno di «cicorietta». Avevamo spesso qualche ospite italiano. Dopo cena venivano sempre altri studenti italiani con i quali organizzavamo tornei di scopone. Chi perdeva faceva il caffè, ma non toccava quasi mai a noi, perché mio padre e io formavamo una coppia imbattibile.

Di quel soggiorno moscovita ricordo una sua osservazione critica su una cosa da niente, alla quale, abituato com’ero alla quotidianità dell’URSS, non avevo mai fatto caso. Faceva caldo e la porta del grattacielo centrale dell’università che si affacciava sulla nostra zona G era tenuta aperta da un grosso sasso che le impediva di chiudersi. Mio padre mi chiese se c’era stato un guasto recente, se si fosse in attesa di una ripa­razione. Gli spiegai che d’estate era sempre così. Per me era normale, perché l’importante era lasciar entrare l’aria nell’ampio salone del piano terra. «Ma come», sbottò mio padre, «in un grattacielo moderno come questo, in una università prestigiosa, per tenere aperta una porta si ricorre a un sasso!». Fu l’unica critica che gli scappò allora. La sua fede nel socialismo gli impediva di fare troppe critiche davanti a noi studenti. Seppi poi da mia madre che in privato aveva espresso forti critiche nei riguardi del cosiddetto «socialismo reale».

Morì di tumore il 19 marzo 1960. Nel trigesimo della sua morte l’Unità pubblicò un lungo necrologio preceduto da questa nota: «Il 19 marzo scorso decedeva a Roma Angelino Bernardini, vecchio e popolare compagno, iscritto al Partito sin dalla fondazione, valoroso combattente della libertà, attivo dirigente comunista nel quartiere San Giovanni. Nel trigesimo della morte, i compagni di Genzano [dove egli era nato] e della sezione di Porta S. Giovanni ricordano commossi Angelino Bernardini». Seguiva il necrologio scritto da Carlo Salinari, amico fraterno, anche lui sopravvissuto alle torture, ma ad opera della Gestapo in via Tasso, che dopo la guerra fu professore alla Sapienza di Roma, diresse il prestigioso mensile di cultura Il Contemporaneo e fu autore di una Storia della Letteratura Italiana. Scriveva tra l’altro Carlo Salinari: «la semplicità e il coraggio erano un’altra caratteristica della personalità di Angelino. Con semplicità e coraggio affrontò, nel periodo fascista, il carcere e il confino, che significarono anche la sua rovina finanziaria. Preso nel 1944 [1943] dalla banda Koch, per non parlare sotto la tortura, fece con semplicità e coraggio una cosa che nessuno di noi seppe fare: si tagliò le vene dei polsi, tentando di suicidarsi [...] Vogliamo ricordarlo non solo perché ci era amico e con lui avevamo combattuto in momenti terribili, ma anche perché, ci sembra, possa servire di esempio a tutti». (l’Unità, 19 aprile 1960, p. 4).

Slavia, rivista trimestrale di cultura

Dino Bernardini, "Slavia" N°4 2006

27 febbraio 1954

Caro Angelino, siamo venuti per la seconda volta; e per la seconda volta non ti troviamo. E' proprio vero che non vuoi più fare l'oste e scaricare tutto il peso dell'osteria su la sôra Nazzarena. Sei un bel tipo! Come si fa ad essere assente quando viene all'osteria il nostro principale dopo mesi e mesi di attesa? Si vede, che non hai più la pazienza certosina del bolscevico genzanese, e che perciò annaffi il vino con l'acqua e lasci tua moglie a sostenere il peso dell'osteria e le proteste degli avventori.

Nadia, Gino, io e il principale abbiamo deciso di non venire più all'osteria, perché è ormai che tu non ci sei più per abbandono di posto.

Il principale dice che il vino tuo (quello rosso) è buono; ma che l'artista che ha voluto ritrarre Gramsci non l'ha azzeccata. Proprio quello che ti ho sempre detto io. Sei, quindi, mezzo salvato per il vino.

Nazzarena non ci ha voluto fare il conto. Ragion per cui lasciamo... er bollo!

Edo

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Palmiro Togliatti

Trattoria Bernardini, anni '50, L.go Brindisi (Roma)

1958

Tessera PCI di Nazzarena Pontesilli, 1958

1959

Bernardino Bernardini (1932-), figlio di Timoteo, Tbilisi (Georgia), 1959

19 marzo 1960

Lapide dettata da Carlo Salinari per la tomba di Timoteo Bernardini.

Fu comunista e per le proprie idee affrontò persecuzioni e miseria, confino e carcere.

Fu antifascista e seppe respingere con fermezza compromessi e lusinghe, seppe mantenere viva, pur negli anni più oscuri, la speranza in un avvenire migliore.

Fu partigiano e non esitò a prendere le armi, coi compagni più giovani, per scacciare l'invasore tedesco dal suolo della Patria.

Umile volle studiare per comprendere il mondo che lo circondava, generoso e bonario divenne intransigente nelle vicende più crude della lotta, amante della vita non dubitò di tentare il suicidio per non tradire i compagni.

Esempio di fermo coraggio, di civile consapevolezza, di fedeltà assoluta alla causa del progresso e del socialismo.

19 aprile 1960

Articolo di Carlo Salinari su "l'Unità"

Ci sono uomini, nel nostro Partito, che sono carichi, senza saperlo, di storia. E non importa che siano vecchi o giovani, o che abbiano incarichi più o meno importanti. Tu li guardi e subito colleghi la loro personalità a momenti ed episodi della storia del Partito: che sono poi - ricordiamolo sempre - momenti ed episodi della storia d'Italia.

Uno di questi uomini era Angelino Bernardini. Ora che debbo scrivere di lui non so ricordarne i tratti più personali e privati: la cara e buona immagine, la generosità e il disinteresse. Il tesoro di affetti e di sentimenti che nascondeva dietro quel suo fare un po' brusco, quel suo parlare ad alta voce agitando le braccia. Non so ricordare nemmeno la cordialità festosa con cui accoglieva i compagni e che faceva della sua trattoria un rifugio sicuro, dove - anche quando si era stanchi e depressi - si poteva andare a respirare una boccata di fiducia. Mi ritorna, invece, alla mente un'impressione che provavo ogni volta che mi capitava di scambiare quattro chiacchiere con lui: che egli potesse personificare, meglio di ogni altro, il passaggio del movimento operaio romano dall'iniziale infantilismo politico alla piena maturità. Egli era orgogliosissimo di questa sua maturità politica. E niente lo divertiva di più di quando entrava nella sua trattoria qualche mezzo-intellettuale, pieno di boria e vuoto d'idee, in vena di discutere. Tutti i luoghi comuni e i pregiudizi anticomunisti li smontava uno per uno, dava una lezione sulla nostra politica nazionale e democratica senza che il suo interlocutore avesse ad offendersi, quasi sempre mortificava quella boria intellettuale senza eccedere e riconquistava la stima e l'ammirazione dell'avversario. In generale l'avvio alle discussioni era fornito da un grande ritratto a colori di Gramsci - opera di un pittore romano - che campeggiava sulla parete più in vista della trattoria. Egli, infatti, aveva conosciuto Gramsci poco dopo la fondazione del Partito, e lo ricordava piccolo, dalla voce esile, in una riunione tenuta ad Albano. Angelino allora era un "sinistro": come del resto, credo, buona parte dei compagni di Genzano. "C'è voluto - diceva - per capire certe cose". E se qualche giovane un po' petulante cominciava a parlare, con aria saputa, della lotta su due fronti: "dillo a mì", sbottava in genzanese, e gli raccontava di Bordiga e di Tasca. Il suo quadro di Gramsci gli piaceva molto: guai a insinuare che non fosse somigliante! Lo inaugurammo solennemente con un discorso tenuto nella trattoria proprio all'ora di punta, quando era piena di avventori. Quel quadro esposto con tanta semplicità e coraggio in un esercizio pubblico (erano i tempi di Scelba) costituiva la meraviglia dei compagni di altre città e di altri Paesi. Ma la semplicità e il coraggio erano un'altra caratteristica della personalità di Angelino. Con semplicità e coraggio affrontò, nel periodo fascista, il carcere e il confino, che significarono anche la sua rovina finanziaria. Preso nel 1944 dalla banda Koch, per non parlare sotto la tortura, fece con semplicità e coraggio una cosa che nessuno di noi seppe fare: si tagliò le vene dei polsi, tentando di suicidarsi. Fu un periodo in cui tutti i commercianti arricchivano per la mancanza di generi alimentari: egli riforniva di viveri i partigiani: come se fosse una cosa naturale. Con semplicità e coraggio riempiva la sua cantina di armi e dava l'esempio per le prime azioni gappistiche nella sua zona.
  Tuttavia, come abbiamo detto, la caratteristica che impressionava di più era la sua maturità politica. Non era il vecchio compagno, stimabile per il suo carattere e la sua fedeltà al Partito, ma un po' anchilosato di fronte alle nuove situazioni e ai nuovi compiti. La politica del Partito, da Salerno in giù, egli l'aveva assimilata perché gli era congeniale, perché la sentiva come la più autentica, quella che meglio gli permetteva di conquistare l'avversario. E la vedeva come una politica rivoluzionaria e la proiettava nel futuro, immaginando le varie tappe della via italiana al socialismo: non la avviliva a semplice esperimento tattico. In lui davvero vivevano insieme i tre presenti di cui parlava al Congresso il compagno Togliatti: il presente del passato, il presente del presente e il presente del futuro. Con lui il Partito, a Roma, ha perduto un suo rappresentante caratteristico. E noi vogliamo ricordarlo non solo perché ci era amico e con lui avevamo combattuto in momenti terribili, ma anche perché, ci sembra, possa servire di esempio a tutti. Proprio ora che le vicende politiche quotidiane possono, forse, tentarci verso una burocratizzazione e specializzazione della politica, Angelino Bernardini ci richiamerà al disinteresse, al coraggio, alla carica rivoluzionaria, allo sguardo teso verso il futuro che deve distinguere - oggi come ieri - il militante comunista.

29 settembre 1978

Tessera FGCI di Mark Bernardini (1962-), figlio di Bernardino, 1977Mark Bernardini ai funerali di Ivo Zini, assassinato dai fascisti, 1978

16 giugno 1979

Attentato fascista alla sezione PCI Esquilino, Roma, 1979Ventisette persone sono rimaste ferite, tre in modo grave, in un assalto compiuto da ultrà di destra nella sezione del PCI "Esquilino" di via Cairoli. Tra i feriti anche una bambina di quattro anni che era stata portata nella sezione dai genitori.

I terroristi, tra i quali una donna, sono entrati, hanno lanciato due bombe a mano ed hanno sparato alcuni colpi di pistola.

Il primo componente il "commando", che probabilmente conosceva almeno sommariamente la conformazione del locale, appena varcata la porta d'ingresso s'è preoccupato di staccare la corrente, lasciando l'intera sezione al buio. E in questa profonda oscurità, appena rischiarata dalla poca luce che filtrava dall'esterno, sono echeggiati in rapida successione cinque colpi di pistola. La sala era già invasa dal panico e dalle urla quando sono scoppiate le bombe a mano. Un attimo ancora e i giovani del commando erano nuovamente fuori.

La polizia è piombata in via Cairoli con estrema sollecitudine e, nell'agitazione ancora elevatissima, qualcuno degli agenti ha creduto di aver intravisto fuggire i terroristi, che invece s'erano già dileguati. Così l'intero isolato è stato circondato da uomini in armi, coperti dietro gli angoli oppure accovacciati accanto alle auto in sosta. E' partito qualche colpo in aria, mentre addirittura s'era sparsa la voce che il commando fosse intrappolato nel palazzo sovrastante la sezione.

Intanto nella sede coperta di detriti e di vetri infranti ristagna il fumo e l'odore acre della cordite. Sul pavimento macchie di sangue si allungano sulla scala, fino al marciapiede, dove i feriti sono poi stati fatti salire su alcune vetture di passaggio e quattro autoambulanze.

Ecco i nomi dei feriti:

All'ospedale San Giovanni: Angelo Striano, 35 anni, dirigente sindacale dell'Enpals, ferito da un colpo di arma da fuoco al gomito destro, guaribile in 40 giorni; Vincenzo Luciani, 33 anni, frattura del piede destro, guaribile in 25 giorni (ricoverato); Mark Bernardini, 17 anni, guaribile in 6 giorni; Francesco Fazzio di 59 anni (6 giorni); Rodolfo D'Agostino, 30 anni (colpito da da un proiettile a un ginocchio, guaribile in 15 giorni; Marco Predieri, 19 anni (6 giorni); Pasquale Viola, 25 anni (10 giorni); Giovannina Zimbaro, 47 anni (10 giorni); Luciana Ferrazza, 25 anni (10 giorni); Antonietta Zulian, 42 anni (10 giorni); Paola Giacchè, 28 anni (10 giorni); Lucia Fermo, 20 anni (6 giorni); Maria Rosaria D'Amico, 26 anni (8 giorni); Anna Teresa Monti, 24 anni (6 giorni); Giuseppe Ciccarelli, 21 anni (5 giorni).

Al Policlinico: Carlo Ferri, di 52 anni, guaribile in 8 giorni; Raffaele Raggi, 46 anni (6 giorni); Clotilde Filippi, 49 anni (8 giorni); Luca Maciariello, 44 anni, guaribile in 15 giorni (ricoverato), la moglie Matilde Di Paolo, 38 anni, guaribile in 8 giorni e ricoverata, la figlioletta Valentina Maciariello di 4 anni, guaribile in 8 giorni e ricoverata; Rosa Garau, 28 anni (8 giorni); Maria Giannandrea, 40 anni (8 giorni); Wanda Apolloni, 30 anni (8 giorni); Rosario Bartoluccio, 53 anni (7 giorni).

Circa un'ora dopo che si era sparsa la notizia dell'accaduto, sono affluite nei pressi di via Cairoli centinaia di persone, molte provenienti da altri quartieri della città. E' stata organizzata una manifestazione di protesta in piazzale Tiburtino "per dare una risposta di massa al terrorismo fascista". Cortei sparsi hanno raggiunto il luogo di riunione issando bandiere e striscioni rossi. Da un palco improvvisato un esponente della sezione Esquilino ha pronunciato un breve discorso, rivolgendo parole di solidarietà verso i compagni feriti.

Cinque minuti prima, alle 19:35, via Cairoli deserta si anima improvvisamente. Sono quattro o cinque giovani che stanno per convergere sulla sezione comunista. Nelle loro tasche c'è una pistola e due bombe a mano da esercitazione, tipo SRCM. Tra poco, dopo l'incursione, qualcuno telefonerà al centralino del quotidiano Vita Sera per firmare con la sigla dei NAR (nuclei armati rivoluzionari) il ferimento di circa la metà dei presenti. "Onore ai camerati caduti", dirà l'anonimo interlocutore all'impiegato del giornale, riappendendo quasi subito la cornetta.

Questa telefonata è stata ribadita alle 2:30 da un messaggio fatto trovare con una telefonata all'ANSA dentro un elenco telefonico nella cabina telefonica di piazza San Silvestro.

Il messaggio è stilato in un foglio ciclostilato, tutto in lettere maiuscole e con alcuni errori di battuta. In esso, tra l'altro, è scritto quanto segue:

Ieri un nucleo armato rivoluzionario ha colpito la sezione del Partito Comunista Italiano di via Cairoli. Eseguiamo così in parte la nostra sentenza di condanna. [...] Diciamo in parte perché se ieri abbiamo colpito semplici attivisti del PCI, complici morali in quanto portatori dell'antifascismo più reazionario, domani colpiremo i responsabili materiali, già individuati e condannati (questa volta a morire). Ribadiamo ancora una volta che i nostri veri nemici sono i rappresentanti dell'antifascismo di Stato, in quanto i loro mezzi subdoli (dai mass media alla magistratura) ci colpiscono certo di più di chi ci affronta apertamente in piazza. Ma chi oggi ha riempito le galere di camerati ed insozzato sui giornali e alla televisione la memoria dei nostri caduti sappia che dopo averli distrutti sapremo anche convincere la gente che quello che abbiamo fatto rientra nel giusto.
P. S. Precisiamo che sono stati sparati sei colpi cal. 7,65 e lanciate due bombe del tipo SRCM da esercitazione.

Tra l'altro, si cerca di stabilire la provenienza delle due bombe SRCM, ordigni da esercitazione in dotazione alle Forze Armate. Si ricorda, a questo proposito, che recentemente ben 75 casse contenenti bombe SRCM sono scomparse da una caserma dell'Italia settentrionale.

S.Giovanni (Roma), diffusione de "l'Unità", 17 giugno1979Dopo la disfatta del 1948, in buona misura determinata dall'ingerenza diretta degli Stati Uniti e del Vaticano, il PCI non aveva mai perso. Tuttavia, la politica dei piccoli passi ha fatto sì che, ad ogni consultazione elettorale, i comunisti guadagnassero lo zero virgola qualcosa, roba da prefissi telefonici. L'eventuale un percento di aumento veniva giustamente presentato come una portentosa vittoria del proletariato. Tutto sommato, questo andava bene un po' a tutti: ai Partiti borghesi, DC in primis, che vedevano lontana mille anni luce l'ipotesi di un governo non dico comunista, ma almeno di un governo costretto a fare i conti con una solida opposizione comunista; ma anche ai comunisti stessi, consci che qualunque avanzata troppo irruenta avrebbe inevitabilmente portato ad un intervento diretto degli americani nella vita democratica del Paese, essendo questi ultimi già presenti in forze – militari – lungo tutta la penisola.

Personalmente, sono cresciuto proprio in questa logica, fin dalle mie prime manifestazioni, alle medie inferiori, all'indomani di un altro 11 settembre, che ora tutti sembrano voler obnubilare, quello del bombardamento del palazzo presidenziale La Moneda a Santiago del Cile, nel 1973, pagato anch'esso, come spesso – troppo spesso – nei decenni a venire, dagli Stati Uniti. Sono cresciuto in una famiglia comunista, appunto, con un nonno confinato negli anni '20 in tutti i luoghi che ora Berlusconi immagina come amene località di villeggiatura, Favignana, Ustica, Ponza, richiamato a 38 anni alle armi e spedito a Bengasi, torturato dalla banda Koch nel 1943; confinati anche vari suoi fratelli (cinque comunisti su nove fratelli), Lipari, ancora Ponza, Pisticci; un padre che studiò filologia slava all'università di Mosca negli anni '50.

Il 15 giugno 1975 il PCI fece un'avanzata strabiliante alle elezioni amministrative. Circa la metà delle regioni, moltissime province e molti comuni capoluoghi di regione finirono in mano alle giunte di sinistra. Questo era il dato nuovo e, allo stesso tempo, denso di incognite: l'anno dopo, il 20 giugno 1976, alle elezioni politiche ci si attendeva finalmente il sorpasso sulla DC. Il PCI guadagnò il 7%, portandosi al 34,4%, ma la DC non solo non arretrò, ma addirittura guadagnò qualcosa e si attestò sul 38% netto. Quello che all'epoca nessuno volle dire, a sinistra (e soprattutto nella cosiddetta "sinistra extraparlamentare"), era che a tradire furono proprio i giovani, da sempre cavallo di battaglia comunista. Facendo una mera sottrazione tra i voti della Camera e quelli del Senato, si aveva il quadro dell'orientamento dei cittadini tra i 18 e i 25 anni. La maggioranza, oltre due milioni e mezzo di elettori, aveva votato per la Democrazia Cristiana. Il Paese era spaccato in due, con tutte le conseguenze che di lì a pochi mesi avremmo tragicamente assaporato.

Giunse la stagione delle contestazioni a sinistra, molte assolutamente giustificate, molte altre talmente pretenziose da ingenerare, non senza ragione, dubbi circa la loro origine, i famosi burattinai. Contemporaneamente, dall'altra parte si invocava un'ingerenza nient'affatto velata del solito amico (ma di chi?) americano. Ricordo ancora una copertina di Panorama (che non era ancora Mondadori e quindi Berlusconi) che sintetizzava le dichiarazioni del presidente statunitense Jimmy Carter: Berlinguer stia al posto suo. Un avvertimento mafioso.

Venne toccato l'apice, il momento più grave e pericoloso, col rapimento e l'omicidio di Aldo Moro, e la sparizione delle sue carte dal luogo del rapimento ad opera di sconosciuti, nonostante le transenne della polizia. Questo episodio risulta tanto più emblematico se si considera che ministro degli interni era proprio quel Francesco Cossiga, futuro Presidente della Repubblica, che molti anni dopo ebbe a vantarsi del suo coinvolgimento nell'organizzazione golpista e paramilitare di Gladio.

Questo tra marzo e maggio 1978. Alla ripresa dell'anno accademico, in ottobre nelle scuole superiori e nelle università si verificò un fenomeno che ha dell'inverosimile: sembrava infatti che nessuno in vita sua avesse mai fatto politica, tutti in discoteca. Era iniziata la stagione che venne definita quella del "riflusso". Eppure, tutto continuava al solito, i fascisti ogni tanto accoltellavano a morte qualche ragazzo di sinistra (Ciro Principessa), assaltavano gli organi di informazione di sinistra (Radio Città Futura), ma parevano solo delle schegge impazzite ed anacronistiche.

Fu così che si arrivò alle prime elezioni politiche del dopo Moro, quelle del 3 giugno 1979. Per la prima volta, il PCI perse. Una settimana dopo, per la prima volta nella storia si votò per il Parlamento Europeo, ed il PCI confermò la propria sconfitta. Si era esaurita la famosa "spinta propulsiva".

Di tutto questo, all'Esquilino, la mia sezione di allora, il 16 giugno si discuteva in una pubblica assemblea, molto accesa, animata, la tensione si tagliava col coltello. Era uno scantinato di fronte ad un cinema porno, attaccato alle ferrovie laziali. Una realtà fatta di ferrovieri, operai della FIAT Manzoni, della Centrale del Latte, di lavoratori dei corsi serali degli istituti tecnici industriali.

Per la tensione, si facevano anche discussioni stupide, per fortuna episodiche, tipo l'impellenza di limitare il fumo nelle assemblee, non tanto per ragioni salutiste, quanto per le cicche in terra, che poi pulivano le compagne.

All'epoca, avevo già iniziato a lavoricchiare, nonostante la giovane età, traducendo in alcune occasioni per dei "colossi" come Pajetta, Amendola, Berlinguer, D'Alema. In un'occasione, in una sala conferenze (non ricordo se all'hôtel "Parco dei Principi", o qualcosa del genere), avevo visto delle sedie identiche a quelle che usavamo in sezione, con un monoblocco sedile e schienale in plastica e le gambe in alluminio. Tra una sedia e l'altra, sulle gambe, erano incastrati degli appositi portacenere.

Durante l'intervento di Ignazio, un operaio della FIAT Manzoni con l'eskimo, mi alzai dalla mia sedia, feci un metro e mezzo a destra e mi accovacciai di fronte a Luciana, una compagna ventiseienne della segreteria di sezione e moglie del segretario Claudio, per suggerirle sottovoce questa banalissima soluzione.

In quell'istante, nello scantinato mancò la luce. Gli interruttori erano sulle scale di accesso, noi eravamo tutti di spalle, mentre la presidenza dell'assemblea, pur essendo frontalmente rispetto agli interruttori, era impedita nella visione da un angolo. Si sentì un rumore secco, che al momento non avrei definito boato, e da quel momento la vita scorse per interminabili secondi al rallentatore.

In certi momenti, si pensano un sacco di fesserie. Per esempio, io pensai che fosse caduto un armadio. Subito, delle scariche, e pensai ai botti di Capodanno. Solo che era una torrida estate, ed ebbi la sensazione che la mano di un gigante mi avesse afferrato per il collo e lentamente, molto lentamente, sempre più lentamente, ma sempre più insistentemente, mi premesse a terra, facendomi perdere l'equilibrio, e poi continuando a premermi e spremermi in terra. Cominciai a sentire dei frammenti duri, freddi e taglienti penetrare il mio petto, confusamente vidi scorrere per un'infinità di tempo misurabile in frazioni di secondo varie scene slegate della mia infanzia, dall'asilo Montessori a Roma a quello di Ul'janovsk, dalle sigarette fumate alle tre stazioni di Mosca scappando da scuola, alle lezioni di francese a suon di Salvatore Adamo, dalla bisca delle medie inferiori vicino piazza Re di Roma ai cortei contro i doppi turni al liceo. Confusamente, ebbi l'assoluta consapevolezza che stavo perdendo i sensi e che probabilmente non mi sarei mai più risvegliato. Nel frattempo, sentii ormai sicuro un altro boato e svariati ed infiniti spari.

In realtà, mi ripresi quasi subito, perché stavo soffocando. Sentivo il gelo delle mattonelle, la mia bocca ed il naso erano immersi in un liquido dal sapore di ferro, ma non riuscivo a sollevarmi perché sulla testa sentivo la pancia di Luciana, che per sua fortuna avevo fatto in tempo a tirare giù in terra con me, per istinto. Urlava "aiuto, li mortacci vostri...", gli spari continuavano. Mi stava sommergendo di sangue, sentivo il suo dolore fisico e capii che era proprio il sangue in terra che mi impediva di respirare, come in apnea.

Finalmente, tirai via la mia testa, e fu anche peggio: nel buio pesto, tutto era fumo da non respirare. E ancora sparavano. Stavamo facendo la fine dei topi.

Carponi, tra urla assordanti di disperazione e fumo acido che bruciava in gola come lacrimogeni, guadagnavamo le scale, cercando prima di sospingere quei compagni che non riuscivano nemmeno a muoversi, probabilmente svenuti, sempre al buio, come ciechi. Dal bar di fronte e dal cinema Apollo, usciva gente incredula e ci guardava impietrita, non riuscivano nemmeno ad avvicinarsi, qualcuno vomitava alla vista della carne lacerata.

Io non sono né particolarmente coraggioso (direi tutt'altro), né smodatamente altruista. Eppure, mi pareva di essere illeso. Rendo omaggio ai servizi di Pronto Soccorso: le prime ambulanze arrivarono dopo una ventina di minuti. Ma eravamo troppi: dovette intervenire anche un'ambulanza dei pompieri. E non sapevano nemmeno dove portarci: nonostante tutto, non si era abituati a questo tipo di ferimenti, non era né lo scoppio di una bombola del gas, né un crollo strutturale. La strage di Bologna, ad opera degli stessi bravi ragazzi della Roma bene, sarebbe avvenuta solo un anno dopo.

Io aiutavo a caricare i feriti, sentendomi perfettamente in forma, a parte l'umido nella scarpa sinistra. Fu solo quando stava per partire l'ambulanza dei pompieri che Roberto, il segretario del circolo FGCI, mi intimò di non fare il coglione e di andare anch'io; al mio rifiuto stupito, mi fece notare che ero ferito. Pensavo che il sangue in testa fosse di Luciana, ed era vero, e pensavo fosse di qualcun altro il sangue sulla camicia, sui pantaloni e nella scarpa. Mi erano entrate in corpo sette schegge, solo allora ricordai la sensazione di quei frammenti che penetravano nel corpo quando ero in terra. Due in petto, un frammento di filamento nello stomaco, un'altra nella mano, una nella gamba destra e due in quella sinistra, ed una di queste aveva leso l'osso, per questo il sangue aveva riempito la mia Clark rigorosamente falsa imitazione. Una scheggia si era fusa sul bacino, un'altra, la più grossa, si era spiaccicata sull'accendino Zippo che mi aveva regalato il marito di mia madre a Mosca, padre di mia sorella, che avevo nel taschino della camicia, esattamente sul cuore. Poi dicono che fumare fa male. Tutto questo lo scoprii molti giorni dopo.

Entrai nell'ambulanza, eravamo stipati in cinque. Ci portarono all'ospedale San Giovanni, lo stesso dove molti anni prima mio nonno aveva portato a piedi sulle spalle mio zio Ezio, che stava soffocando per un osso in gola, e che uscì proprio grazie a quegli scossoni, lo stesso dove molti anni dopo andò mio padre, sempre a piedi, quando ebbe un infarto.

Quando aprirono lo sportello dell'ambulanza, ne uscì un rivolo di sangue mischiato di cinque persone. Sorreggendoci l'un con l'altro, ci mettemmo in fila, poiché le strutture del Pronto Soccorso non erano sufficienti per tutti, nonostante che parte di noi fosse stata smistata al Policlinico Gemelli. Le altre persone, casualmente presenti per altri malanni, continuavano a chiederci della bombola del gas. Quasi non ci credeva nessuno.

Per prima cosa, trovai un telefono pubblico e chiamai mio padre: pochi istanti dopo, fu la prima notizia del telegiornale delle 20. Cercai di essere lucido e preciso. Dissi, più o meno, di ascoltarmi attentamente e di non perdere tempo in inutili commenti, "perché tanto non ci poteva fare nulla e tutto quel che avrebbe potuto accadere era già successo", che io comunque stavo bene, che non sapevo fra quanto sarei tornato e che poi gli avrei spiegato.

Ero tra i meno gravi: Angelo, per esempio, aveva una pallottola nel gomito, sembrava dovessero amputargli il braccio, che poi per fortuna gli salvarono. La pallottola era nel gomito perché in quel momento stava sbadigliando e si stava stiracchiando, altrimenti sarebbe finita in testa. Continuavo in automatico a "dirigere il traffico", regolando l'ingresso dei feriti dal dottore. Anche lì, come in ambulanza, entrai per ultimo. Forse per il solito pressappochismo italiano, forse perché ormai i più gravi li avevano curati, mi spremettero i fori dove erano penetrate le schegge in petto e dissero che queste ultime erano uscite da se. In effetti, qualcosa era uscito, ma, come risultò dopo qualche giorno, quando il dolore continuava ad aumentare, si trattava di ciccettini di carne. Le schegge, minuscole, sono tuttora al loro posto, a distanza di quasi trent'anni.

Uscito nuovamente nella sala d'aspetto, ebbi l'unico momento di crollo psicologico: mi sedetti e singhiozzai senza lacrime. Dieci minuti dopo tornai in sezione, dove si stava già formando il corteo, un fiume di gente, nonostante l'improvvisazione e l'ora tarda, in prima fila noi feriti sporchi di sangue. Tra le prime "autorità" accorse, Maurizio Ferrara, capo della Resistenza romana, il sindaco Giulio Carlo Argan e Pietro Ingrao. Attraverso il ponte di S.Bibiana, ci dirigemmo verso il quartiere popolare di San Lorenzo, teatro del bombardamento del 19 luglio 1943.

A notte inoltrata, tornai a casa. Mio padre e sua moglie mi aspettavano, ovviamente. Una volta terminato il mio racconto, mio padre pensò bene di sdrammatizzare facendomi notare che la camicia, irrimediabilmente lacerata e lacera di sangue, era sua. L'aveva acquistata al mercatino di via Sannio, sotto casa, per ben 200 lire. Era una camicia con delle bruttissime pagode cinesi, magari appartenuta a qualche militare statunitense in Vietnam.

Il giorno dopo, tornammo in sezione per una diffusione straordinaria dell'Unità a S.Giovanni. Io, come mio solito, ci arrivai troppo presto, alle otto del mattino di domenica, col fatto che ero tra quelli che avevano le chiavi; non c'era ancora nessuno, solo Gloria, una compagna diciannovenne che il giorno prima non c'era. Per me, diciassettenne, era una "vecchia", ed infatti in quel lungo abbraccio tra le lacrime, in un silenzio tombale, percepii quasi qualcosa di materno. Il pavimento era ancora completamente intriso del sangue di 27 feriti. Una delle bombe SRCM era evidentemente difettosa: anziché disfarsi tutta in schegge, se n'era staccato un pezzo intero e si era conficcato nel muro. Per caso, lungo la sua traiettoria non era capitata nessuna delle 70 persone presenti, esattamente come per una serie fortuita di coincidenze non morì nessuno, cosa che costò un rimprovero da parte di Giusva Fioravanti, capo della squadraccia fascista, ai suoi. Quel Giusva che, da bambino, tutti ricordano nello sceneggiato della "Famiglia Benvenuti".

La seconda granata era caduta esattamente dove ero seduto prima di alzarmi pochi istanti prima per parlare dei portaceneri con Luciana. La mia sedia non fu mai più ritrovata, al suo posto nelle mattonelle campeggiava una buca di circa cinque centimetri di profondità.

Di lì a qualche giorno, sentendo che il dolore non diminuiva, andai da mio zio Enzo, chirurgo alla USL del Prenestino. Mi estrasse le due schegge nella gamba sinistra e quella nella gamba destra, ma disse che quelle in petto, nella mano ed il filamento nello stomaco ormai era più pericoloso estrarle che lasciarle al loro posto, e che entro poche settimane si sarebbero formate attorno delle capsule di tessuto cutaneo. E' così che ci convivo da allora, per la gioia dei metal detector aeroportuali e bancari quando sono tarati male.

Penso che molti, tra coloro che mi leggono, hanno presente quel tipico fenomeno di autocommiserazione che colpisce gli adolescenti. Ci si immagina brutti, storti, stupidi, fatti male, ci si convince della propria inutilità e di voler morire "perché tanto non se ne accorgerebbe nessuno". Tutte queste fesserie, che generalmente spariscono man mano con l'età, in me si sono volatilizzate nel giro di una mezzora la sera del 16 giugno 1979. Tuttora, ogni qualvolta mi scontro con qualche avversità della vita (ed è successo varie volte, non per cose futili), non mi deprimo mai: m'incazzo, perché "la depressione è un lusso da ricchi, ed io sono nato povero".

A fine mese, partii per Mosca, dove ogni anno andavo per le vacanze estive da mia madre. Bisogna ricordare che all'epoca non esisteva la teleselezione internazionale, né tantomeno i telefoni cellulari. Con mio padre avevamo stabilito di non dirle nulla, meglio che glielo avessi detto di persona. Così fu, nel tassì che ci portava in città dall'aeroporto. Il tassista aveva timore persino di voltarsi, tanto suonava incredibile il mio racconto per un sovietico degli anni '70. Mia madre ascoltò tutta la storia in silenzio, senza mai guardarmi, la ricordo in quell'occasione rigorosamente di profilo. Ella non aveva mai approvato il mio coinvolgimento politico, per cui, al termine, il suo unico commento fu: ecco cosa succede, a far politica. Naturalmente, non ho mai smesso.

Il marito di mia madre era uno psichiatra. Venuto a conoscenza dell'accaduto, chiese per me un appuntamento all'ospedale militare degli invalidi di guerra. Sempre contestualizzando, bisogna rendersi conto che i ventenni della seconda guerra mondiale erano all'epoca poco più che cinquantenni. Gli invalidi erano tantissimi, feriti e mutilati. Ne ricordo molti per le strade di Mosca, deambulare senza gambe, quasi tagliati a metà, su tavolette di compensato con cuscinetti a sfera e delle spazzole alle mani fissate con delle cinghie di pelle. Ecco perché la dottoressa che mi fece le lastre per stabilire una volta per tutte la quantità delle schegge rimaste e la loro dislocazione, era espertissima. Tuttavia, non capiva come mai questo minorenne dal cognome italiano parlasse come un russo, e soprattutto non capiva dove mai egli avesse potuto infognarsi in un ginepraio simile. Al termine della visita mi fece accomodare nel suo studio e mi intimò: "adesso spiegami". Le raccontai questa storia, mostrandole le schegge estratte avvolte in un brandello di garza col sangue rappreso. L'espressione dei suoi occhi era simile a quella del tassista, come se fossi giunto lì dal passato remoto attraverso una macchina del tempo. Confermò quanto detto da mio zio: ormai, era meglio lasciare tutto com'era. Mi mostrò le lastre di un loro paziente ambulatoriale, che veniva ogni sei mesi per delle visite di controllo. Durante un contrattacco tedesco, questi fu ferito da una pallottola nella schiena. In trent'anni, senza ledere alcun organo vitale, la pallottola aveva attraversato il suo stomaco, attestandosi in prossimità dell'ombelico. Sulle lastre, quel canale scavato e la pallottola stessa parevano disegnati da un fumettista.

Da allora, non sopporto né botti né siringhe, per le quali svengo persino se si tratta di un'antitetanica. Indipendentemente dai miei principi morali, come tossicodipendente non farei carriera.

L'ultimo strascico di questa brutta avventura risale al 1985. Avevo 23 anni, ero stato richiamato alle armi, svolgevo il servizio militare ad Ascoli Piceno in una caserma notoriamente "di destra", piena di raccomandati locali. A loro dispiacque molto dovermi concedere una licenza quando ricevetti l'ingiunzione di presentarmi come parte lesa al processo contro i NAR presso il carcere di Rebibbia a Roma, ma dovettero ubbidire.

Rividi quasi tutti i miei compagni di allora, ed anche molti altri. Soprattutto, mi rimase impresso un ragazzo zoppo, ferito assieme ad Ivo Zini, ammazzato mentre, davanti alla bacheca dell'Unità della sezione PCI Alberone, in via Appia Nuova, leggevano a quale cinema andare quella sera del 28 settembre 1978.

Anche lì, era impressionante la sensazione di "catena di montaggio", sia nella maniacale perquisizione all'ingresso, sia nello sfilare a fianco delle gabbie dopo la deposizione in aula di fronte al giudice. Erano tutti in una gabbia, tranne Alessandro Alibrandi (nel frattempo morto durante un tentativo di rapina in una gioielleria), Giusva Fioravanti e Francesca Mambro, che erano in una gabbia a parte a farsi fotografare dai paparazzi in effusioni più che esplicite, e Cristiano Fioravanti, credo uno dei primi pentiti, isolato in una gabbia tutta sua.

Mentre passavo, lo confesso, provavo un sentimento credo del tutto umano di rivalsa. Quando passai davanti a quella di Cristiano Fioravanti, ci fu qualcosa di magnetico, o almeno io lo ricordo in questo modo. Egli è, se non sbaglio, mio coetaneo. Era come se per qualche minuto durato pochi secondi ci fossimo parlati con gli occhi. In brevis, quel che percepii fu uno sguardo di angoscia e di stanchezza. Sembrava dire: "potevi morire, ma fatto sta che sei vivo. Io, invece, da qui non uscirò mai più".

Valeva la pena? No, certo. A lui non sarà mai possibile vivere tutte le gioie, le angosce, gli innamoramenti, le sofferenze, le sbronze, le serate con la chitarra che ho poi vissuto io. Lo so: anche i tanti ragazzi che hanno ammazzato avrebbero voluto vivere, fare figli, accudire i nipoti, ed invece quel filo di continuità venne reciso proprio dalle aberranti azioni di questi fascisti in erba. Ma quando uscii da Rebibbia, avevo una sensazione amara. Non sono per il perdono, non sono cristiano, sono ateo convinto. Non ho provato compassione, ma sicuramente tristezza. Una tristezza con cui continuo a convivere.

Mark Bernardini, Mosca, luglio 2007

1981

Mark Bernardini, manifestazione studentesca per la pace, S.Giovanni (Roma), 1981

1983

Roma, manifestazione studentesca per la pace (primo da sinistra Mark Bernardini), 1983

Comiso (Sicilia), manifestazione dopo le cariche della polizia (centinaia di feriti), 1983

1984

Isola di Saccasessola (Venezia), 1984


Genzano di Roma

Antifascista da sempre e per sempre

1 dicembre 1926

Raccolta di denaro per la famiglia di Gino Lucetti

Baldazzi Vincenzo, 25/10/1898, negoziante, repubblicano. Anni 5; prosciolto con la condizionale il 04/04/1927. Rinviato al confino il 04/06/1932; commutato in ammonizione il 27/10/1933. Nuovamente confinato il 05/12/1936.

2 dicembre 1926

Attivisti anarchici di Roma e provincia

Botticchia Giuseppe, 29/11/1892, vignarolo, anarchico. Anni 5; prosciolto il 10/09/1932.

Ronconi Domenico, 04/08/1889, vignarolo, anarchico. Anni 5; la Corte d'Appello commuta in ammonizione il 05/02/1927.

3 dicembre 1926

Attivisti comunisti di Roma e provincia

Bernardini Timoteo, 24/01/1901, comunista. Anni 5; la Corte d'Appello riduce a 3 anni; prosciolto il 05/12/1929.

4 dicembre 1926

Attivisti comunisti con incarichi politici e sindacali a Roma e provincia

Buttaroni Salvatore, 26/07/1901, facchino, comunista. Anni 5; prosciolto con la condizionale il 02/03/1928.

Ronconi Ascanio, 23/07/1891, contadino, comunista. Anni 5; prosciolto il 07/12/1931. Nuovamente confinato il 30/03/1932.

19 dicembre 1926

Attività comunista

Elisei Augusto, 16/04/1887, contadino, comunista. Anni 5; la Corte d'Appello riduce a 2 anni; commutato in ammonizione il 23/03/1928. Nuovamente confinato il 26/09/1937.

21 gennaio 1927

Attività comunista a Genzano

Imbastari Attilio, 12/04/1889, contadino, comunista. Anni 5; prosciolto il 22/03/1932.

 

12 settembre 1927

Attività anarchica

Simmi Alfredo, 31/03/1899, fabbro, anarchico. Anni 4; la Corte d'Appello riduce a 2 anni; prosciolto il 14/12/1929. Nuovamente confinato il 23/06/1930 e il 05/12/1936.

20 maggio 1928

Per iniziativa dell'organizzazione comunista, il 1° Maggio si registra a Genzano un'astensione quasi generale dal lavoro con lancio di manifestini, ecc. Cinque giorni dopo la polizia effettua perquisizioni domiciliari e 91 arresti di comunisti e anarchici

Polenta Gaetano, 05/01/1892, contadino, comunista. Anni 5; la Corte d'Appello riduce a 4 anni; prosciolto il 05/05/1932. Internato dal 1940 al 1943.

21 maggio 1928

Belardi Italo, 01/06/1902, stagnino, comunista. Anni 5; la Corte d'Appello riduce a 1 anno; prosciolto il 05/05/1929. Internato nel giugno 1940. Muore a Pisticci il 07/05/1943.

Bernardi Orlando, 29/05/1901, comunista. Anni 5; prosciolto il 20/03/1933.

Bernardini Camillo, 26/04/1888, calzolaio, comunista. Anni 5; la Corte d'Appello riduce a 1 anno; prosciolto il 05/05/1929. Nuovamente confinato il 13/06/1942.

Bocale Vincenzo, 17/08/1899, contadino, comunista. Anni 5; la Corte d'Appello riduce a 1 anno; prosciolto il 05/05/1929.

Colangeli Francesco, 10/12/1891, agricoltore, comunista. Anni 5; la Corte d'Appello riduce a 1 anno; prosciolto il 04/05/1929.

De Santis Ercole, 01/03/1901, falegname, comunista. Anni 5; latitante [è in carcere, deferito al Tribunale Speciale].

Di Meo Amedeo, 15/01/1895, anarchico. Anni 5; la Corte d'Appello riduce a 1 anno; prosciolto il 10/06/1929.

Ferneti Silvio, 22/08/1901, contadino, comunista. Anni 5; la Corte d'Appello riduce a 1 anno; prosciolto il 05/05/1929.

Gabbarini Enrico, 24/11/1896, comunista. Anni 5; la Corte d'Appello riduce a 2 anni; prosciolto il 23/01/1930.

Giacchini Dario, 24/04/1901, contadino, comunista. Anni 5; la Corte d'Appello riduce a 2 anni; prosciolto il 09/05/1931.

Iacoangeli Riccardo, 11/03/1903, contadino, comunista. Anni 5; la Corte d'Appello riduce a 1 anno; prosciolto il 05/05/1929.

Moroni Giuseppe, 30/10/1897, contadino, comunista. Anni 5; la Corte d'Appello riduce a 1 anno; prosciolto il 05/05/1929.

Orazi Federico, 06/03/1897, contadino, comunista. Anni 5; prosciolto con la condizionale il 09/11/1932.

Orazi Umberto, 13/03/1897, contadino, comunista. Anni 5; prosciolto il 17/01/1930.

Piermaria Torquato, 29/01/1893, contadino, comunista. Anni 5; commutato in ammonizione il 28/05/1931.

Quinzi Nicola, 14/04/1894, pittore, comunista. Anni 5; commutato in ammonizione il 23/06/1931.

Renzi Oreste, 16/01/1904, contadino, comunista. Anni 5; prosciolto il 04/11/1932.

Rigoli Vittorio, 20/09/1890, anarchico. Anni 5; prosciolto il 01/12/1932.

Rosi Domenico, 20/03/1898, contadino, comunista. Anni 5; commutato in ammonizione il 06/12/1931.

Saraceni Giulio, 24/03/1897, carrettiere, comunista. Anni 5; prosciolto il 12/11/1932.

Sardi Tommaso, 05/10/1903, terrazziere, comunista. Anni 5; la Corte d'Appello riduce a 1 anno; prosciolto il 05/05/1929.

Senesi Umberto, 28/08/1899, comunista. Anni 5; la Corte d'Appello riduce a 1 anno; prosciolto il 05/05/1929.

Silvestri Vincenzo, 07/10/1855, proprietario, comunista. Anni 5; la Corte d'Appello riduce a 1 anno; prosciolto il 05/05/1929.

Silvestrini Giovanni, 21/03/1903, contadino, comunista. Anni 5; la Corte d'Appello riduce a 4 anni; commutato in ammonizione il 27/08/1931.

Torti Danilo, 23/01/1893, operaio, comunista. Anni 5; la Corte d'Appello riduce a 1 anno; prosciolto il 05/05/1929.

Valle Luigi, 01/06/1897, contadino, comunista. Anni 5; prosciolto il 15/11/1932.

25 maggio 1928

Silvestri Giuseppe, 25/06/1893, vignarolo, comunista. Anni 5; latitante. Arrestato il 21/08/1929; prosciolto il 12/11/1932.

21 giugno 1928

Attività comunista a Genzano

Saraceni Enrico, 28/01/1903, carrettiere, comunista. Anni 5; prosciolto il 12/11/1932.

17 dicembre 1928

Attività comunista

Di Rocco Romolo, 08/06/1881, vignarolo, comunista. Anni 5; la Corte d'Appello riduce a 3 anni; prosciolto il 16/12/1928.

29 gennaio 1929

Attività antifascista

Ronconi Aurelio, 20/10/1883, contadino, comunista. Anni 5; prosciolto il 15/11/1932.

6 maggio 1929

Attività comunista, Soccorso Rosso

Silvestri Filippo, 02/03/1893, contadino, comunista. Anni 3; prosciolto con la condizionale il 14/02/1930.

Silvestri Villealdo, 12/07/1888, vignarolo, comunista. Anni 2; prosciolto con la condizionale il 12/02/1930.

5 agosto 1929

Scontata una condanna al carcere per grida sediziose, viene confinato per il suo passato di antifascista

Lorenzetti Cesare, 21/06/1884, contadino, comunista. Anni 5; commutato in ammonizione il 13/11/1931.

14 gennaio 1930

Sottoscrizione a favore delle vittime politiche

Frasconi Tommaso, 23/05/1876, contadino, comunista. Anni 5; prosciolto il 04/11/1931. Nuovamente confinato il 23/05/1938.

5 maggio 1930

Attività antifascista a Genzano

Gabbarini Salvatore, 18/04/1903, contadino, comunista. Anni 3; prosciolto il 04/11/1932.

Mandrella Fulvio, 19/01/1890, falegname, comunista. Anni 3; prosciolto il 28/07/1933.

26 maggio 1930

Condannato dal Tribunale Speciale nel 1928 per attività comunista, a fine pena inviato al confino

Cesaroni Orlando, 19/12/1897, muratore, comunista. Anni 3; prosciolto l'08/05/1933.

8 settembre 1930

Propaganda comunista

Tetti Saturno, 01/02/1899, contadino, comunista. Anni 5; prosciolto nel novembre 1932.

27 aprile 1931

Attività comunista

Ciappelloni Benedetto, 26/03/1906, impiegato, comunista. Anni 4; prosciolto il 04/11/1932.

8 aprile 1932

Organizzazione comunista attiva a Genzano

Bernardi Luigi, 04/05/1899, contadino, comunista. Anni 4; prosciolto il 21/12/1932.

Corsi Oreste, 20/01/1900, contadino, comunista. Anni 5; prosciolto il 24/12/1932.

Del Prete Augusto, 21/01/1896, contadino, comunista. Anni 4; prosciolto con la condizionale il 24/12/1932.

19 settembre 1932

Organizzazione giellista a Roma

Baldazzi Plinio, 25/09/1894, impiegato, repubblicano. Anni 3; prosciolto con la condizionale il 06/04/1933.

20 febbraio 1936

"Esprime accaniti sentimenti comunisti"

Bianchi Ignazio, 29/07/1908, contadino, comunista. Anni 2; prosciolto il 07/02/1938.

19 aprile 1937

Attività comunista a Genzano

Attenni Bruno, 19/10/1912, contadino, comunista. Anni 5; la Corte d'Appello riduce a 3 anni. Arrestato al confino il 17/07/1937 e condannato a 5 anni di carcere dal Tribunale Speciale; prosciolto il 09/03/1940.

6 settembre 1937

Organizzazione comunista a Genzano

Capogrossi Salvatore, 15/08/1902, contadino, comunista. Anni 5; prosciolto il 04/11/1941.

14 ottobre 1937

Offese al capo del governo

Belardi Onorato, 30/03/1886, piccolo proprietario, apolitico. Anni 5; prosciolto con la condizionale il 27/01/1938.

26 ottobre 1937

Respinge l'ingiunzione di acquistare giornali fascisti per il suo negozio di barbiere. Lo costringono a bere l'olio di ricino e poi lo confinano

Corsi Giorgio, 22/09/1916, barbiere, comunista. Anni 5; commutato in ammonizione il 22/08/1939.

Non saluta romanamente un corteo fascista

Ronconi Ettore, 23/09/1897, contadino, comunista. Anni 5; prosciolto il 26/08/1941.

Attività comunista

Scipioni Alfredo, 02/03/1913, calzolaio, comunista. Anni 4; a fine periodo internato; liberato il 16/09/1943.

26 aprile 1938

Offese al capo del governo, manifestazione comunista

Bernardini Leonida, 08/04/1898, contadino, comunista. Anni 3; commutato in ammonizione il 22/01/1940.

Offese al capo del governo, attività comunista

Bocale Ettore, 28/04/1890, operaio, comunista. Anni 1; prosciolto il 23/03/1939.

Silvestrini Sebastiano, 08/09/1903, facchino, comunista. Anni 3; prosciolto il 28/08/1940.

24 gennaio 1939

Invia lettere anonime con scritti ed emblemi sovversivi

Galieti Armando, 17/04/1920, operaio, antifascista. Anni 5; prosciolto con la condizionale il 05/11/1942.

12 luglio 1939

Inneggia al comunismo

Renzi Agostino, 20/08/1893, vignarolo, comunista. Anni 5; la Corte d'Appello riduce a 3 anni; prosciolto il 27/10/1942.

20 agosto 1940

Discorsi antifascisti

Viti Adolfo, 19/09/1886, bracciante, antifascista. Anni 5; prosciolto con la condizionale il 04/11/1942.

26 novembre 1941

Combattente antifranchista in Spagna

Ciappelloni Tommaso, 24/02/1885, carrozziere, comunista. Anni 5; liberato nell'agosto 1943.

13 giugno 1942

Discorsi sediziosi

Bernardini Camillo, 26/02/1888, calzolaio, comunista. Già confinato il 21/05/1928. Anni 2; liberato il 15/08/1943.

17 giugno 1943

Scritte antifasciste

Sellari Francesco, 23/11/1892, spazzino, antifascista. Anni 3; liberato il 30/07/1943.


Suddivisione arrestati per orientamenti politici

Suddivisione arrestati per mestieri


Pagina aggiornata il 12/03/2008
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A cura di Mark Bernardini

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